Cosa è un centro antiviolenza e quando rivolgersi

Centro Antiviolenza

Cos’è il centro antiviolenza

Un centro antiviolenza è essenzialmente una struttura all’interno del quale vengono accolte nella stragrande maggioranza dei casi donne, ma anche uomini, vittime di violenze di diverso genere.
Non è un caso che questo tipo di centri abbia visto la luce in un periodo nel quale le donne stavano lentamente affermando la loro parità rispetto al genere maschile, soprattutto dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni del diritto di famiglia, che liberava definitivamente il campo da ogni differenza di genere.
Purtroppo non tutti gli uomini sembrano aver accettato la situazione, dato che una buona parte delle violenze perpetrate trovano la loro origine dalla convinzione che il genere maschile debba sottomettere quello femminile.
Questi centri sono dislocati su tutto il territorio nazionale ed offrono gratuitamente il loro patrocinio a tutti coloro che chiedono aiuto per uscire da una situazione di violenza.
Ad oggi esistono in Italia circa 350 centri antiviolenza, dislocati in maniera abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale, con una presenza leggermente maggiore al sud; ciò significa che esiste un centro ogni 100mila donne circa di età superiore ai quattordici anni.

Le attività dei centri antiviolenza

Sebbene quasi tutti credano che queste strutture svolgano un’attività prettamente ricettiva dei richiedenti aiuto, accogliendoli e ospitandoli in dei rifugi appositi, in realtà questo rappresenta soltanto l’ultimo step di un percorso ben più lungo.
La misura da adottare è ovviamente soggettiva, dato che chiunque abbia bisogno di questo servizio è protagonista di un caso a se stante, ma possono essere tracciate delle linee generali su quelle che sono le attività da svolgere come primo approccio, e le misure più serie da adottare nel caso la situazione non migliori o tenda a peggiorare.
Una volta che la vittima chiede aiuto ad un centro antiviolenza è già stato compiuto un passo decisamente importante, che sta a significare che questa si rende conto della sua situazione ed ha deciso di esternarla per farsi aiutare. In tal senso, se il primo approccio è di tipo telefonico (contattando il numero nazionale 1522 messo a disposizione appositamente per queste esigenze), la vittima si sentirà rispondere da un centralino qualificato per fornire anzitutto assistenza telefonica.
A seconda dei fatti che vengono raccontati, l’operatore consiglierà di approfondire ulteriormente la situazione mediante dei colloqui personali da svolgersi presso la struttura più vicina.
Qualora il primo approccio sia invece di natura personale, con la vittima che si presenta spontaneamente presso un centro antiviolenza, sarà accolta da professionisti che garantiranno anzitutto il suo anonimato; in secondo luogo verrà offerta una consulenza psicologica e, qualora ce ne fosse bisogno, anche una consulenza di tipo legale.
Una volta iniziato il percorso, è possibile che venga offerta la possibilità di usufruire dei rifugi per ospitare non soltanto chi chiede aiuto, ma in determinati casi anche eventuali figli minori della stessa; si tratta chiaramente di una misura per lo più temporanea, atta a scongiurare la possibilità che una situazione già difficile sfoci in eventi ancor più drammatici.
Molti dei centri (oltre l’80% secondo l’ISTAT) offre la possibilità di acquisire la cosiddetta autonomia lavorativa alle vittime: ciò nasce dall’esigenza di affrancarsi, smettendo di dipendere economicamente magari proprio dal soggetto per la quale si sta intraprendendo questo percorso.
All’autonomia lavorativa si accompagna quindi anche l’autonomia abitativa, con la quale viene restituita quella routine e quella normalità andata perduta, donando una seconda occasione a donne e uomini che ne hanno bisogno.
La nuova soluzione abitativa consta di un alloggio con indirizzo segreto per salvaguardare la sicurezza di chi vi abita.

Quando rivolgersi ad un centro antiviolenza

Chiunque abbia subito o stia subendo episodi di violenza può rivolgersi a questa rete di strutture.
Non si tratta ovviamente di una scelta facile: solitamente una donna che subisce violenza all’interno della propria abitazione si sente sminuita, sola, inascoltata e incompresa.
Purtroppo anche l’isolamento sociale è un elemento usato a vantaggio di chi pratica la violenza; in questo modo si garantisce che la propria vittima rimanga quieta e sottomessa ai suoi voleri, senza rischiare che racconti in giro cosa succede in casa, o peggio senza che lo vada a denunciare alle forze dell’ordine.
Proprio per questo motivo è importante, nel momento in cui si rimane vittime di violenza, riuscire ad affrontare la situazione prendendo la difficile decisione di chiedere aiuto.
Negli ultimi anni è emerso poi un ulteriore fenomeno che allo stesso tempo legittima chi ne rimane coinvolto a rivolgersi a questa rete di centri: parliamo ovviamente dello stalking, o atti persecutori.

La legislazione

Nonostante siano ormai molti anni che la rete dei centri antiviolenza svolge la loro attività, e nonostante nell’ultimo anno si siano rivolti ad essi oltre 50mila donne, il legislatore nazionale non ha ancora regolamentato questa nuova materia.
Esistono tuttavia molte leggi regionali e soprattutto un grande interesse da parte degli enti locali (dai Comuni, alle Aziende Sanitarie) che nell’ultimo decennio hanno finalmente contribuito a sostenere l’attività dei centri; sono state fornite loro le strutture nella quale operare, i finanziamenti necessari, organizzando progetti professionali e corsi di formazione individuale.
In alcune realtà (come a Venezia) i centri sono addirittura gestiti direttamente dal Comune di appartenenza, ma si tratta di una forte minoranza: nella quasi totalità dei casi ogni centro è gestito da una associazione composta interamente da donne che si battono ideologicamente contro la violenza di genere.
All’inizio del 2006, durante un importante convegno in materia, è stata siglata la Carta dei centri antiviolenza. Il suo obiettivo è quello di armonizzare le metodologie e gli obiettivi, fornendo un indirizzo comune a quanti più centri possibili; alcuni principi cardine che sono stati espressi riguardano la garanzia di anonimato e sicurezza di chi si rivolge a loro, e di lasciare che i centri e le relative consulenza vengano espresse interamente da donne.
Ad oggi l’associazione nazionale più rilevante in questo ambito è la D.i.Re., Donne in Rete contro la violenza, costituitosi a Roma nel 2008 e alla quale hanno aderito 80 centri di questo tipo in tutta Italia.